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Fabrizio Caron

"ho paura"

Ho paura… Lo ripetevi spesso fra te e te, a voce bassa per non farti troppo sentire, e ad ogni sillaba un po’ di angoscia scivolava fuori, un respiro a metà di quella frase: ho paura…

La fabbrica era la tua casa: un porto sicuro, un lavoro certo, lo stipendio ogni mese. Vedrai, mi dicevi, potremmo fare molte cose… 
Adesso la tua paura è la mia, adesso che sono rimasta sola e tu sei diventato una presenza ancora più acuta, costante, un dolore sordo che mi scava dentro e mi sfida ad andare avanti.  

Com’è scura e grande questa notte, ora che di te posso stringere solo questo corpo vuoto, informe... Maledetta la polvere! Sia maledetta questa polvere di morte, questa polvere che respiriamo e che è in ogni dove, che entra dentro e brucia e si appoggia sul mio cuore e poco a poco lo ricopre! E maledetta la paura di questa polvere eterna: la conosco bene, adesso, e so che non se ne andrà e resterà ancora dio sa per quanto a minacciare le nostre esistenze.

Lascio scorrere queste ore lunghe come binari di cui conosco l’origine ma non so dove portano, e guardo il mare, con metà dell’anima, e l’altra mi tira alla terra…

E intanto, il mio cuore continua a martellare. Così raccolgo le nostre cose, prendo per mano i bambini; non posso fare null’altro se non ripartire da lì, dalla nostra fine, per attraversare questa strada di notte e sperare che domani il vento si plachi. Domani cercherò di farmi strada in quest’aria densa, scostando ciò che è stato da ciò che sarà: un nuovo Sisifo che trasporta un macigno fatto di niente fino in cima alla montagna, sperando che una volta lì non debba vederlo crollare indietro una volta ancora.
Ho paura…

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